VILLA BORGHESE – I GIARDINI DEL PINCIO

Salita del Pincio

Il tempo è incredibilmente, indicibilmente bello, si sta il più possibile all’aperto e se finora non si bazzicavano che divinità ed eroi, adesso il paesaggio rivendica di colpo i suoi diritti. Sono salito e disceso per queste ville buttando giù schizzi di paesaggio che mi hanno colpito per la loro autenticità, cerco di aggiungere luci e ombre.

Il tempo continua ad essere bello oltre ogni dire . Cominciano a spuntare da terra fiori che non conosco ancora, nuovi fiori sugli alberi, fioriscono i mandorlicome aeree inattese tra il verde cupo delle querce. Tutto dà esca alle mie smaniebotaniche e sono avviato a scoprire nuove interessanti relazioni sugli sviluppi della natura, questo prodigio che all’apparenza è come nulla passa dal semplice alla massima multiformità.

Luogo di solitudine, riflessioni e definizione delle opere. “Essendomi giunta una vostra lettera su Egmont, la presi e me ne andai a Villa Borghese e lì mi toccò leggere alcune scene giudicate troppo lunghe. In una splendida mattina corsi con la vostra lettera a Villa Borghese , riesaminai per due ore lo svolgimento del dramma, i vari caratteri, le situazioni e non trovai nulla da poter abbreviare” Roma dicembre 1787- Resoconto

Ho passato una mattina alla Galleria Borghese; non v’ero stato da un anno, e mi sono reso conto con soddisfazione che la vedevo con sguardo assai più perspicace. I tesori che il principe possiede sono spettacolosi” Roma 1 marzo 1788

Oggi sono stato a far visita al Principe …….

Quando Goethe era a Roma negli anni 1786-1788 Villa Borghese era una grande tenuta verde di proprietà del principe Camillo Borghese al cui interno oltre ad altri fabbricati si ergeva la sua villa di campagna (oggi Museo Borghese) che negli anni era diventata una casa museo dove il principe raccoglieva le sue collezioni d’arte e di antichità.

In posizione geografica sopraelevata e scoscesa rispetto alla città di Roma, e alla pianura del Tevere, si estende per circa 80 ettari.

Durante l’occupazione francese degli anni 1809-1814 la grande tenuta subì cambiamenti notevoli, soprattutto nella parte prospiciente la città in una visione urbanistica che assicurava continuità tra Villa Medici, antico possedimento francese, la Chiesa di Trinità dei Monti e creava un grande giardino verde collegato alla città stessa che ne rappresentasse il naturale prolungamento.

Napoleone disse che il popolo romano per troppo tempo in spazi angusti sulle rive del Tevere e meritava uno spazio ampio in cui passeggiare e distrarsi. Così Villa Borghese è ancora oggi un grande cuore verde, il parco più famoso della Capitale in cui le famiglie portano i figli alle giostre, sui trenini che fanno il giro del parco, sulle biciclette e sui pattini appunto e dove si tengono importanti manifestazioni equestri.

La grande impresa urbanistica fu affidata a un architetto francese, Louis Martin Berthault. Ma con il ritorno del Papa, Pio VI affidò l’incarico del proseguimento dell’opera all’architetto Giuseppe Valadierche concluse i lavori all’inizio del 1820. Valadier conservò l’impostazione data dai francesi ma con un’impronta fortemente neoclassica con l’ellissi della Piazza del Popolo, e le due ampie rampe di raccordo, adornate da alberi e carrozzabili, che permettevano la salita del colle del Pincio e di raggiungere la terrazza appena realizzata, la terrazza del Pincio.

Successivamente, con la Repubblica Romana, i giardini del Pincio ospitarono, e ancora oggi ospitano, i busti marmorei di italiani illustri, (oggi sono 224) e iniziarono ad essere scolpiti nel 1849 durante la Repubblica Romana con un preciso scopo celebrativo e pedagogico, di grande valore simbolico patriottico e risorgimentale.

L’opera di scultura dei busti voluta espressamente da Giuseppe Mazzini, che attraverso di essi intendeva favorire una azione di riscatto popolare, di memoria storica e di ricordo, durò alcuni anni e proseguì anche oltre la proclamazione dell’unità d’Italia del 1861.

I giardini del Pincio rappresentarono quindi una grande opera architettonica che collegava la città e il suo cuore pulsante alla grande area verde in continuità tra architetture classiche esistenti come Villa Medici, scalinata di Trinità dei Monti alla nuova grande Piazza del popolo e all’area verde.

Il colle del Pincio, dominava la città, già in epoca romana, alle sue spalle l’area verde era contenuta all’interno delle possenti fortificazioni delle Mura Aureliane e solo dopo di queste si apriva l’immensa campagna.

Affacciato sul Campo Marzio, il colle prende il nome da una nobile famiglia romana che fu tra le ultime ad avere una villa sul colle lasciando in eredità il loro nome. Si estende dove sorgevano un gruppo di sontuose dimore romane che qui avevano i loro horti, gli Acilli, i Domizi, sulle cui tenuta furono sepolte le ceneri di Nerone e oggetto nei secoli di omaggio da parte dei Romani, i Pincii appunto e la sontuosa villa di Lucullo edificata dopo il 63 a. C. sulle pendici del colle, dopo la vittoria su Mitridate, e di cui restano poche rovine, inglobate nel parco di Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia.

Faceva parte della VII Regio augustea. La fascia della VII Regio e fino a via Lata, proprio sotto la collina del Pincio, si trasformò nel corso del II secolo d. C. in una zona intensamente edificata con abitazioni, porticati lungo le strade dove si aprivano le botteghe, negli spazi liberi dal Campo Marzio. La stessa zona dove con la stratificazione dei secoli successivi, ancora oggi si aprono piazze e strade famose in tutto il mondo. Basti pensare alla Piazza di Spagna, a Trinità dei Monti, a via Sistina, a via Frattina, a via Condotti .

Ecco come la storia, con la sua grande forza irresistibile, entra nella nostra vita quotidiana e a ogni circostanza si ripropone nella sua continuità a ricordarci che tutto si trasforma dopo di noi.

La balconata del Pincio, opera del Valadier, vista mozzafiato sulla città.

Maestosa la vista su Piazza del Popolo con i due emicicli intorno al grandioso obelisco faraonico, la fontana sorretta da quattro leoni, le cupole delle due Chiese che fiancheggiano l’imbocco in via del Corso, la cupola di Santa Maria del Popolo.

Di fronte il lungo rettilineo di via Cola di Rienzo che termina al Vaticano. Palazzi e giardini, la maestosa cupola di San Pietro, l’isola Tiberina, l’Ara Pacis, la cupola del tempio ebraico e quella del Pantheon, il monumento al Milite ignoto. Sullo sfondo i colli di Monte Mario con il suo Osservatorio astronomico, la villa Miani, il Gianicolo, il monumento a Garibaldi.

E dopo tanto magnificenza, lo sguardo si sofferma sullo scorrere del fiume, le acque del Tevere che risplendono nella giornata di sole e ancora nei secoli accompagneranno Roma.

Non ci si ferma abbastanza per ammirare il paesaggio, come a voler imprimere negli occhi tutto quello che è possibile, a voler far nostro quello che disse Aristide Gabelli “questo piccolo spazio che lo sguardo abbraccia senza fatica, è il punto più storico di tutto il mondo” e con retorica tutta ottocentesca “la terrazza del Pincio sembra un palco estratto dalla mano dell’uomo riconoscente per ammirare lo spettacolo più grandioso che un Dio d’amore possa offrire alle sue creature