VATICANO E SAN PIETRO

Piazza San Pietro

S.PIETRO; MUSEI VATICANI; LOGGE E STANZE DI RAFFAELLO; CAPPELLA SISTINA; APOLLO DEL BELVEDERE

Le Logge di Raffaello e i grandi dipinti della Scuola di Atene li ho visti oggi per la prima volta, ed è come se uno volesse studiare Omero su di un manoscritto parzialmente deteriorato e cancellato.

Qui la grandiosità della Rotonda sia all’esterno che all’interno ha suscitato in me un gioioso senso di riverenza.In S. Pietro m’è divenuto chiaro come l’arte, al pari della natura, possa trascendere ogni rapporto comparativo. E similmente l’Apollo del Belvedere mi ha proiettato oltre la realtà

Piazza e Basilica di S.Pietro

La “Rotonda” come la chiama Goethe era il nome popolare fino a data relativamente recente (metà Novecento) della Basilica di S. Pietro, immensa e maestosa, simbolo e messaggera della cristianità nel mondo.E ancora “se vai a Roma e non vedi la Rotonda asino sei e ciuccio rimani”

La si raggiunge dopo avere attraversato la Piazza antistante grandiosa e scenografica, tra le più famose nel mondo e rappresentativa di Roma, capolavoro insuperato di Gian Lorenzo Bernini, immensa ellissi di 240 metri di larghezza. Al centro della Piazza il grande obelisco faraonico preveniente da Eliopoli, antica città egizia, fatto trasportare da Caligola nel ’37 d.C. e che ornava il circo di Nerone e posto nella Piazza dall’Arch Domenico Fontana.

Attorno all’obelisco è segnata sul pavimento una rosa dei venti, dal cui centro avanzando di 6-7 metri verso le due fontane e guardando il colonnato, questo appare composto da una sola fila di colonne. E’ la prospettiva, di cui furono maestri gli architetti rinascimentali e del barocco italiano.

Lo spazio architettonico è di grande imponenza realizzato nel corso dei secoli in maniera precisa e rigorosa, la rappresentazione ‘esatta’ delle prospettive e degli edifici che conferisce un senso di magnificenza ad una grande opera dell’ingegno umano che ancora oggi non fa che stupire e quasi sopraffare coloro che la inventarono e realizzarono.

Il palcoscenico della piazza, con le due bellissime fontane che rumoreggiano si chiude sullo spazio della trabeazione della Basilica, prima che si innalza la Cupola maestosa è ben visibile il coronato sormontato da 140 Statue di Santi e dal grande stemma della famiglia Chigi a cui apparteneva Papa Alessandro VII.

La Basilica di S. Pietro così come la conosciamo è il risultato di opere di ingegneria e dell’ingegno umano che hanno attraversatoi secoli, tanto che a Roma ancora oggi quando i lavori non finiscono mai si dice “fabbrica di S. Pietro”.

La prima Chiesa fu eretta da Costantino, nel luogo dove si riteneva fosse stato sepolto l’Apostolo Pietro all’incirca nel 64-67 d.c.

La Basilica costantiniana fu oggetto di prime modifiche a partire dalla metà del 1400 su opera degli architetti Leon Battista Alberti e Bernardo Rossellino su incarico del Papa Niccolò V.

Bisognerà aspettare il 1506 per una grande opera di ricostruzione voluta da Papa Giulio II e affidata a Donato Bramante che aveva ideato un progetto di un edificio a croce greca sormontato da una cupola che doveva rappresentare il nuovo Pantheon cristiano distruggendo sostanzialmente la vecchia basilica senza tener conto delle preesistenze guadagnandosi il nomignolo di Maestro Ruinante, con la nota sagacia del popolo romano.

Alla morte di Giulio II e di Bramante, si succedettero come responsabili di cantiere i più importanti architetti e artisti dell’epoca che, alternativamente, preferirono elaborare un progetto a croce latina o a pianta centrale. A Bramante succedette Raffaello Sanzio, aiutato da Fra Giocondo e Giuliano da Sangallo, e ancora dopo Baldassarre Peruzzi e Antonio da Sangallo il Giovane.

Dal 1546 la “fabbrica di S. Pietro” fu affidata al genio di Michelangelo Buonarroti, che recuperò, in parte lo schema a croce greca di Bramante e progettò l’immensa Cupola, la più grande e maestosa opera in muratura mai realizzata.

Michelangelo seguì direttamente i lavori del gigantesco basamento che costituisce parte della trabeazione fino all’innesto del tamburo. Alla sua morte avvenuta nel 1564, l’opera era quasi ultimata.Il basamento, suddiviso in sedici possenti contrafforti, ravvivati da colonne binate di ordine corinzio, tra i quali si innesta il tamburo e si aprono i finestroni a timpano. Dall’attico del tamburo si slancia la cupola rivestita da lastre di piombo maestosa e di bellezza senza tempo lasciata in eredità a tutte le generazioni.

Alla morte di Michelangelo, seguirono Jacopo Barozzi da Vignola, Giacomo della Porta e Domenico Fontana. È a questi ultimi due che spetta la realizzazione della cupola michelangiolesca che il grande artista non era riuscito a completare, arrivando solo all’innesto del tamburo. La Basilica venne infine completata da Carlo Maderno che cambiò nuovamente il progetto, per volere di papa Paolo III, tornando alla croce latina, aggiungendo tre campate alla pianta centrale di Michelangelo. Al Maderno spetta anche la facciata iniziata nel 1607.

La consacrazione della nuova Basilica di S. Pietro fu fatta da Urbano VIII nel 1626, anche se i lavori non erano ancora terminati soprattutto gli esterni portati avanti da Gian Lorenzo Bernini e dal Papa Alessandro VII Chigi, che concepirono l’imponente Colonnato idealmente, come l’ultimo dei Fori Imperiali.Il Foro cristiano all’altezza della forza e della grandezza raggiunta dalla Chiesa.

L’interno della Basilica, con le tre grandi navate del Maderno, richiede un grande sforzo di sintesi ancor superiore a quello delle architetture esterne.

Ci limitiamo ad osservare la navata centrale che viene incontro ai visitatori con i suoi possenti pilastri, grandiose arcate che immettono nelle cappelle laterali e nelle navate più piccole, con la trabeazione che si incurva nell’enorme volta a cassettoni con ricca decorazione. Tutte le navate sono sfavillanti d’oro e inducono a uno stupore mozzafiato, nelle nicchie statue dei Santi, su una cattedra marmorea la statua in bronzo di San Pietro seduto e benedicente.

Oltre la navata centrale si innalza luminosissima la Cupola, sotto cui troneggia il grandioso baldacchino in bronzo, anch’esso capolavoro del Bernini inaugurato nel 1624 da Urbano VIII Barberini, la cui leggenda vuole che per la fusione del baldacchino furono usati i bronzi provenienti dal pronao del Pantheon, un detto ancora oggi in uso a Roma dice “quod non fecerunt barbari, feceruntBarberini” – ciò che non fecero i barbari lo fecero i Barberini.

Creazione maestosa fatta per stupire che ad essa si avvicina, tutto è grandioso e meraviglioso, i tondi dei mosaici, le figure dei quattro evangelisti, la scritta in latino con le quali Gesù istituì la Chiesa: Tu es Petrus et super hancpetramaedificadoecclesiammeam et tibidaboclaves regni caelorum – Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa e a te darò le chiavi del regno dei cieli.

Nel fondo dell’abside trionfa la “macchina” scenica della cattedra di San Pietro, la Cathedra Petri, mirabile composizione barocca con il trono ligneo, che la leggenda vuole appartenuto a Pietro quale Vescovo di Roma, sormontato dalla rappresentazione in oro della Spirito Santo.

Musei Vaticani

I Musei Vaticani furono costituti dal Papa Giulio II della Rovere, tra i più celebri Papi del Rinascimento, negli anni del suo Pontificato 1503-1513,nell’ambito della grande ristrutturazione del Palazzo Apostolico adiacente alla Basilica commissionato a Donato Bramante.

I Musei furono realizzati per custodire le immense collezioni della Chiesa romana e per avere un luogo simbolo in cui ammirarle da parte dei pellegrini e visitatori.

I Musei Vaticani, giustamente chiamati al plurale, sono in realtà un insieme di musei e collezioni. Attualmente comprendono: i Musei in numero di circa 12 distinti per collezioni, Gallerie e gli ambienti visitabili dei palazzi Vaticani.

Tra le più grandi Collezioni di opere d’arte al mondo accumulate nei secoli, i Musei Vaticani hanno rappresentato e rappresentano una destinazione e una grande attrazione di Roma nei secoli.

Le Logge di Raffaello

Progettate dal Bramante, le Logge di Palazzo Vaticano rappresentano il vertice della pittura raffaellesca, grazie ad una plasticità formale e ad una policromia senza pari. Esse erano il sancta sanctorum del potere papale, accessibili solo al pontefice e ai suoi collaboratori piu’ stretti; necessitavano dunque di uno stile particolare, capace di colpire e stimolare gli intelletti piu’ fini della corte romana.

Progettate dal Bramante come un portico monumentale, modellato su quelli dell’antichità, esposto all’aria e alla luce, con vista panoramica sulla città, la struttura architettonica delle stanze rappresentava per l’artista che doveva dipingerle rilevanti difficoltà.

Ma Raffaello se la cavo’ in modo superbo, anche se l’opera impiego’ ben due anni della sua breve vita (1517-19). Articolate su tredici campate, e tre piani del Palazzo Apostolico,le Logge furono decorate a stucco e grottesca, affrescate con episodi del Vecchi Testamento e nell’ultiam campata con scene del Nuovo Testamento riservando alle lesene e ai pilastri una minuta decorazione e a grottesca. Esse rappresentano il culmine della pittura raffaellesca

Le stanze di Raffaello

Le “Stanze vaticane” costituivano gli appartamenti del papa Giulio II (1503-1513).

Qui avevano già operato artisti allora ben più affermati di lui come il Perugino, suo maestro, ma Raffaello Sanzio (1483-1520), lasciato libero dal papa Giulio II di condurre a suo piacimento gli affreschi, cancellò quanto eseguito.

Le Stanze, denominate in ordine cronologico sono: Stanza della Segnatura 1508-1511, Stanza di Eliodoro 1511-1514, Stanza dell’Incendio di Borgo 1514-1517, Sala di Costantino 1517-1524.

La Sala di Costantino fu in gran parte realizzata dagli allievi di Raffaello, essendo il maestro morto all’improvviso il 6 aprile del 1520.

In tutte le Stanze furono moltissimi gli artisti rinascimentali che hanno contribuito all’immenso lascito delle Stanze, da Pinturicchio al Perugino a Giulio Romano, solo per citare i più noti.

La “Stanza della Segnatura”, la prima dipinta da Raffaello in cui campeggia la “Scuola di Atene”.

Sullo sfondo di un’architettura antica, simbolo probabilmente del nuovo San Pietro bramantesco, si trovano: al centro, Platone, con le sembianze di Leonardo, che punta il dito al cielo alludendo al mondo delle idee e Aristotele, che, volgendo il palmo della mano verso terra, indica, al contrario, il principio razionalista della sua filosofia. I due grandi protagonisti del pensiero antico sono attorniati da una moltitudine di filosofi con le sembianze di uomini del tempo, tra cui in primo piano Eraclito (Michelangelo), Euclide (Bramante) che disegna sulla lavagna una figura geometrica, Diogene quasi sdraiato sulle gradinate, Tolomeo e Zoroastro con in mano rispettivamente il globo e la sfera celeste. Il secondo personaggio a destra con il berretto verde è l’autoritratto di Raffaello.

Nel “Parnaso” sono rappresentati Apollo, circondato dalle muse, e famosi poeti e letterati. Si riconoscono, tra gli altri, sulla sinistra, Omero che volge il volto al cielo, e Dante, ritratto di profilo.

Cappella Sistina

La Cappella Sistina prende il nome da Papa Sisto IV della Rovere (pontefice dal 1471 al 1484) che fece ristrutturare l’antica Cappella Magna negli anni del suo pontificato. La decorazione quattrocentesca delle pareti comprende: i finti tendaggi e le Storie di Mosè.

Giulio II della Rovere (pontefice dal 1503 al 1513), nipote di Sisto IV, decise di modificarne in parte la decorazione, affidando nel 1508 l’incarico a Michelangelo Buonarroti.

Michelangelo dipinse la volta della Cappella e sulla parte alta delle pareti le lunette. L’opera durò circa quattro annicosì che nell’ottobre 1512 Giulio II inaugurò la Sistina completamente affrescata con una messa solenne. Nei nove riquadri centrali Michelangelo aveva raffigurate le storie della Genesi, dalla Creazione alla Caduta dell’uomo, al Diluvio universale e al successivo rinascere dell’umanità con la famiglia di Noè.

Gli affreschi del Giudizio Universale furono restaurati in data recente nei primi anni del 1990. Nell’Omelia di benedizione, del 8 aprile 1994 il Papa Giovanni Paolo II pose l’accento sulla sacralità del luogo affermando che “Gli affreschi che qui contempliamo ci introducono nel mondo dei contenuti della Rivelazione. Le verità della nostra fede ci parlano qui da ogni parte. Da esse il genio umano ha tratto la sua ispirazione impegnandosi a rivestirle di forme di ineguagliabile bellezza”

Apollo del Belvedere

Così chiamato poiché ornava il Cortile del Belvedere in Vaticano, è una scultura in marmo tardo ellenistica rinvenuta ad Anzio verso la fine del 1400.

L’opera alta due metri e ventiquattro centimetri, ritrae Apollo dopo aver ucciso Pitone, un drago serpente, nato dal fango del Diluvio Universale che insidiava l’oracolo di Delfi e alla sacerdotessa a cui attribuì il nome di Pizia (pitonessa).

Il dio degli oracoli che prediceva il futuro degli uomini, è raffigurato come un giovane uomo dal fisico tonico ancora in tensione dopo lo sforzo di uccidere il drago, lo sguardo che scorre lungo il braccio teso fino alla mano che stringeva l’arco, da cui ha scoccato la freccia mortale. I capelli sono raccolti,da una fascia (strophium) ornamentale, simbolo d’appartenenza al mondo delle divinità con il mantello che dalle spalle scende sulle braccia.

Dopo un lungo periodo di quasi oblio, dalla metà del XVIII secolo, la statua fu indicata come modello assoluto di perfezione estetica e capolavoro dell’arte mondiale grazie al Winckelman e allo stesso Goethe a cui dedicò parole sublimi.

Il marmo è uno straordinario materiale e per questo motivo la vista dell’Apollo del Belvedere nell’originale ci riempie di una gioia infinita, mentre il miglior calco in gesso non riesce a comunicare il soffio sublime di quella figura di adolescente, palpitante di vita, di libertà, di giovinezza eterna