IL COLOSSEO

Piazza del Colosseo 1

Verso sera ci recammo al Colosseo era già quasi buio. Quando si contempla una cosa simile, tutto il resto appare un’inezia. E’ così grande che la mente non riesce a comprenderla in sé; piccola è l’immagine che la memoria ne serba e quando si torna a vederla, fa l’effetto d’essere più grande di prima

Diverse volte Johann Wolfgang Goethe si recò a visitare il Colosseo nei quasi due anni del suo soggiorno romano, la vicina via Sacra e i Fori tanto ne era affascinato. Anche la notte prima della sua definitiva partenza da Romail 13 aprile 1788,in cui la nostalgia prendeva il sopravvento ebbe modo di scrivere del Colosseo e delle sue emozioni “Mi avvicinai ai venerandi ruderi del Colosseo, guardai attraverso le inferriate nel chiuso del recinto e un brivido mi assalì e mi spinse a ritornare indietro senza indugio. Cosa vidi all’interno di quella mirabile architettura? Forse i mostri di Palagonia o le maschere del carnevale romano che ridevano dai gradoni davanti al sangue sparso sull’arena nel corso di efferati spettacoli circensi. Il riso beffardo di divertimento e di terrore”e si paragonò a Ovidio nel suo esilio del Ponto che esiliato lui pure aveva dovuto lasciare Roma in una notte di plenilunioQuando penso a quella notte e alle cose care che ho lasciato, qualche lacrima mi scorre ancora dagli occhi… e quel suo rimpianto di tristezza e di angoscia là nel remoto Mar Nero mi perseguitava, offuscava la memoria e intralciava ogni personale espressione”

Raccontare del Colosseo significa ripercorrere la storia di Roma e come Goethe esserne affascinati e incuranti delle emozioni e sensazioni della sua grandezza.

In estrema sintesi si ripercorrono gli elementi salienti. L’anfiteatro Flavio, Amphitheatrum Flavium nominato comunemente Colosseo fin dall’Alto Medioevo, qualcuno dice per le sue dimensioni colossali oppure perché alle pendici della Velia, piccola sommità tra l’Esquilino e il Celio, all’inizio della Domus Aurea, era posto il Colosso, immensa statua in bronzo dorato fatta realizzare da Nerone dopo l’incendio di Roma e rappresentava se stesso con la testa cinta da raggi nelle sembianze del sole, il cui basamento quadrato è ricordato oggi con alcune lastre di travertino inserite nel piano stradale che indicano il luogo dove sorgeva la statua all’inizio della via dei Fori Imperiali.

Altra interpretazione dell’origine del nome è stata ipotizzata come declinazione del nome CollisIseum ossia il colle di Iside dove effettivamente sorgeva il Tempio dedicato alla divinità.

Come che sia, il Colosseo è di indicibile grandiosità nella purezza delle sue forme e nell’austerità della sua struttura. Con tutti quei buchi allineati, dove c’erano delle staffe di ferro che tenevano insieme i blocchi di travertino, testimonia l’ingiuria degli uomini a cui è stato sottoposto. Ma i Romani sapevano costruire molto bene tanto che anche senza i rinforzi di ferro, i blocchi di travertino sono ancora in piedi.

L’anfiteatro fu concepito come il più grande dell’Impero, fu iniziato da Vespasiano nel 72 d.C. e terminato da suo figlio Tito (entrambi della famiglia dei Flavii) nello stagnum della Domus Aurea.

l’Anfiteatro, simbolo della rinascita dell’Impero e dell’onore della famiglia Flavia era un edificio maestoso in grado di contenere un numero di spettatori stimato tra 50.000 e 75.000 unità.

Ha una forma ellittica con l’asse maggiore di 188 metri e l’asse minore di 156 con una circonferenza complessiva di 527. Lungo l’enorme perimetro si innalza la grandiosa architettura esterna di travertino, costituita da tre piani sovrapposti di arcate su pilastri su cui sono addossate le colonne dei tre ordini dorico, ionico, corinzio.

L’arena ellittica, che misura lungo gli assi circa 77 metri per 46, era formata da un tavolato di legno ricoperto di sabbia. Per accedervi esistevano due ingressi: ad ovest la “Porta Triumphalis”, dalla quale entravano i gladiatori o gli animali, e ad est la “Porta Libitinensis”, dalla quale venivano portati via i corpi senza vita dei lottatori (da Labitinia Dea della morte).

L’edifico si chiude con un quarto ordine di sopraelevazione di diversa composizione con cornicioni finali destinati a sorreggere il velario. Il velario era la copertura degli Anfiteatri, proteggeva dal sole e dalla pioggia, era manovrato dai marinai allo stesso modo di come venivano manovrate le vele delle navi. Il travertino è la pietra fondamentale nella realizzazione del monumento, è stato calcolato che ne furono impiegati più di 100.000 metri cubi di materiale, oltre ai marmi, ai perni in ferro di collegamento tra i blocchi con circa trentamila tonnellate di ferro.

Fu inaugurato con grandi feste che si racconta fossero durate 100 giorni con l’uccisione di 5.000 belve feroci e la morte di molti gladiatori.

Vi si tenevano le venationes e naumachie iscritte sui gradus, nei registri (oggi si direbbe in cartellone), usanza molto antica, che arrivò fino al periodo dell’occupazione barbarica di Odoacre. I registri venivano periodicamente aggiornati, eventi cancellati o sostituiti, con i nomi dei nuovi richiedenti (anche a seconda del diverso grado tra clarissimi, spectabilis e illustres). I combattimenti di gladiatori vi si tennero fino al 404 quando furono soppressi dal Papa Onorio, forse dopo il sacrificio del monaco Telemaco che si era arditamente introdotto nell’arena pe impedirli e fu ucciso, mentre continuarono i combattimenti tra le belve fin verso la metà del VI secolo.

Intorno al Colosseo sono fiorite nel Medioevo numerose leggende, tra cui quella del venerabile Beda, monaco benedettino inglese, autore di molte opere, vissuto tra il 673 e il 735, citato nella Divina Commedia, al canto X del Paradiso, ordine del creato e apparizione di San Tommaso d’Aquino che presenta gli spiriti sapienti, il quale disse “ finchè starà il Colosseo starà Roma, quando cadrà il Colosseo finirà anche Roma, ma quando cadrà Roma finirà anche il mondo.” “quamdiustatColysaeumstatet Roma, quando cadet et Colysaeumcadet et Roma, quando cadet et Roma cadet et mundus” e

Un terremoto nel 442 lesionò l’Anfiteatro che fu restaurato, come accadde anche in altre occasioni di danneggiamento, e attestato da esistenti iscrizioni. Ma un altro terremoto nel 1349 provocò il collasso dell’esterno dal lato sud, costruito su un terreno alluvionale instabile, e non fu più ricostruito restando come oggi lo vediamo.

Diventò una fortezza sotto i Frangipane al cui interno costruirono la loro dimora (fortunatamente abbattuta) e poi passò agli Annibaldi. Fu Enrico VII, nel 1312, Imperatore del Sacro Romano Impero che lo diede al Senato e al popolo romano.

Durante il Rinascimento, il monumento fu gravemente depredato, rappresentò una cava per la costruzione di Palazzo Venezia, Palazzo Barberini e della Cancelleria, il Porto di Ripetta e la stessa Basilica di San Pietro in Vaticano.

Tanto da far dire a Goethe la famosa frase “non fecero i barbari ciò che fecerono i costruttori della nuova Roma”.

Solo con il pontificato di Benedetto XIV (1740-1758) lo scempio terminò con la consacrazione del Colosseo alla Passione di Cristo che lo dichiarò sacro per tutto il sangue versato dai martiri cristiani, anche se non è stato mai provato storicamente che nel Colosseo furono eseguite persecuzioni contro i cristiani.

Nel giro dell’arena furono costruite 14 edicole per le corrispondenti stazioni della via crucis che ricorda la Passione di Cristo, poi rimosse nei secoli successivi mediante un percorso aggiornato e modificato, pur restando nell’ambito dell’area del Colosseo e utilizzando gli spazi adiacenti come stazioni in cui ricordare e rappresentare ai fedeli la Passione.

Ancora oggi la via crucis a Roma viene celebrata direttamente dal Vescovo ella città che come è noto è lo stesso Papa.