IL CARNEVALE ROMANO

Via del Corso 1

Il Carnevale di Roma si festeggiava nel periodo degli 8 giorni antecedenti il mercoledì delle ceneri, sostanzialmente verso la fine di febbraio.

Nel suo viaggio in Italia, Johann Wolfgang Goethe si imbatte per due volte nei festeggiamenti del Carnevale Romano. La prima, quella che si conclude la notte precedente il mercoledì delle ceneri 20 febbraio 1787, in cui l’insigne visitatore scrive quasi sdegnato: “La mattana è ormai finita. Ancora iersera i moccoli innumerevoli furono un folle spettacolo. Bisogna aver veduto il Carnevale a Roma per togliersi completamente la voglia di rivederlo”.

Ma in verità l’anno successivo, febbraio 1888, era di nuovo a Roma nello stesso periodo e sul Carnevale Romano si dilunga in una vasta e accurata descrizione dell’evento da cui trapela un interesse, quantomeno di attenzione a costumi sociali di antichissima origine, e a una manifestazione così intensamente partecipata dal popolo, se pure non di condivisione.

Inizia la trattazione : “Nell’accingerci a una descrizione del carnevale romano, l’obiezione che dobbiamo paventare è che sia impossibile in realtà descrivere una festa del genere; una così grande e vivace massa di fenomeni sensibili dovrebbe esser percepita direttamente dall’occhio e osservata ed afferrata da ciascuno a propria guisa”.

E prosegue “Il Carnevale romano non è, in verità una festa che viene concessa al popolo ma una festa che il popolo si concede. Lo Stato non fa grandi preparativi, né grosse spese, la ruota dei godimenti gira da sola e la polizia la governa senza calcare la mano. L’inizio della festa è un semplice segnale che ognuno è libero di folleggiare e impazzire a volontà, all’infuori delle zuffe e delle coltellate, tutto è permesso.

In queste giornate il popolo della Roma d’oggi esprime ancora il suo giubilo perché le feste dei Saturnali coi privilegi connessi , non sono state abolite con la nascita di Cristo, ma solo rinviate di poche settimane”.

Seguendo Goethe nel suo secondo soggiorno romano, parafrasando le sue considerazioni e descrizioni si sintetizzano di seguito gli elementi salienti da lui raccontati durante i festeggiamenti.

Il Corso

Il Carnevale a Roma ha per scena il Corso la lunga e stretta strada rettilinea che corre da piazza del Popolo a Piazza Venezia. E’ lunga circa tremilacinquecento passi e fiancheggiata da alti edifizi, per lo più sfarzosi. Sulla strada corrono i carri dall’obelisco di piazza del Popolo, confine inferiore fino a piazza Venezia confine superiore.

Il Corso è anche il luogo delle passeggiate, soprattutto della domenica e dei festivi, in cui si avvicendano la nobiltà e la folla che condividono il luogo pur con diversi privilegi.

A cominciare da Capodanno si aprono i teatri, e questo è l’inizio del Carnevale. Qua e là da un palco si affaccia qualche bella donna, in divisa di ufficiale e mostra con compiacimento le spalline alla folla. Cresce l’animazione della passeggiata al Corso, ma l’attesa è per gli ultimi 8 giorni.

Ogni sera di carnevale termina con una corsa di cavalli, detti berberi, di piccola statura, allevati appositamente per la corsa. Ogni cavallino, rivestito con un drappo di tela bianca, viene portato davanti all’obelisco, nel punto esatto di inizio della partenza, con le redini rivolte verso il Corso.

Infine si cosparge il selciato di pozzolana ad evitare che il Corso diventi un ammasso di cavalli che scivolano sul basolato.

Così giorno dopo giorno si alimenta l’attesa finchè poco dopo mezzodì, una campana dal Campidoglio dà il segnale che sotto la volta del cielo tutti possono abbandonarsi alla follia.

Sfilano il Generale a cavallo e il suo reparto militare, i noleggiatori di sedie e palchetti offrono ai passanti i posti delle tribune per assistere alla corsa finale. Una folla composita già addobbata con vestiti e maschere stravaganti, dai ragazzi vestiti da Pulcinella o da donne sfacciatamente insolenti, o travestite da uomini, emulando situazioni paradossali e comiche. Vengono stesi tappeti ai balconi, alle finestre e sulle tribune, mentre le maschere fluiscono e si abbandonano alle loro pazzie e le carrozze vanno su e giù per il Corso.

Una folla rumorosa mascherata e bizzarra fa ressa sulla via del Corso e si disperde nelle vie adiacenti in particolare via del Babuino e fino a Piazza di Spagna.

Quando il cielo comincia ad imbrunire, il Corso si affolla sempre più in attesa che terminano i preparativi della corsa.

Il segnale di via

I cavalli sono disposti intorno all’obelisco nell’ordine in cui sono stati sorteggiati, e condotti dagli stallieri in costume fra le transenne che usano tutta la loro energia per trattenere gli animali, che indocili già prima di entrare negli stalli sono imbizzarriti e scalpitanti.

Finalmente il segnale, e le funi che trattengono gli animali vengono liberate, i cavalli scalpitanti sfrecciano via cercando di guadagnare terreno nello spazio sgombro della piazza poiché una volta imboccata la lunga via del Corso ogni sforzo si presenta vano.

A palazzo Venezia intanto altri stallieri aspettano l’arrivo dei berberi entro un recinto chiuso. Al vincitore viene assegnato un premio. Così con una fulminea, violenta conclusione termina una festa lungamente e ardentemente attesa da tante migliaia di persone e pochi riescono a capacitarsi perché hanno così intensamente aspettato quel momento e del piacere che vi hanno trovato.

Con l’arrivo dei cavalli a Piazza Venezia si spara una salva di piccoli mortai, il segnale viene ripetuto a metà del Corso e infine presso l’Obelisco di piazza del Popolo.

E’ anche il segno della totale libertà nella notte incipiente.

La mattana

Si aprono i Teatri e gran parte del pubblico, senza più le maschere si affretta sui palchi. Nei teatri si propongono opere serie, opere buffe con intermezzi di balletti, commedie e tragedie. Viva è la passione dei romani per il Teatro, e un tempo lo era ancor di più nel periodo carnevalesco.

Si partecipa a festini di ogni genere e a travestimenti, soprattutto nelle case delle personalità più in vista, che riproducono statue romane, divinità egizie, sacerdoti di divinità, Bacco e Arianna, vestali e tutti in armonia con i costumi che indossano. Si svolgono danze antiche e moderne applaudite con grande fragore.

Finalmente arriva l’ultimo giorno e appena si fa buio, nella via stretta e buia si vedono spuntare lumi quà e là, alle finestre, nelle tribune e in pochi minuti tutta la via risplende di candele accese.

I Moccoli

Tutti si sentono in obbligo di portare in mano una candela accesa, da tutti i lati e da tutti gli angoli risuona l’auspicio “sia ammazzato”

Sia ammazzato chi non porta il moccolo” si gridano tutti a vicenda e intanto ognuno cerca di spegnere con un soffio il lume dell’altro. Il continuo accendere e spegnere dei lumi, intercalato da grida sfrenate di “sia ammazzato” eccita la folla in un crescendo di animazione.

Ciascuno bada a non farsi spegnere il proprio moccolo e a spegnere quello del vicino, e tanto più forte si grida da ogni parte “sia ammazzato” tanto più il grido si spoglia del suo significato più crudele e diventa di ammirazione e di gioia, una specie di parola d’ordine, un grido di tripudio con il suo ritornello.

Si sente gridare scherzosamente “sia ammazzato il signor abate che fa l’amore” oppure a un amico che passa “sia ammazzato il signor Filippo” oppure intrecciando galanteria e complimento “sia ammazzata la bella principessa. Sia ammazzata la signora Angelica la prima pittrice del secolo”.

Tutte le classi sociali e tutte le età si danno addosso a vicenda, chi salendo sui predellini delle carrozze, chi attaccato a un lampione. La moltitudine si accalca verso il centro del Corso dove il calore sprigionato da tanti lumi, dai fumi delle candele, il vociare della gente rendono l’atmosfera invivibile tanto che la massa va diradandosi e disperdendosi man mano; la grande sagra della licenza e della sfrenatezza, questi Saturnali del giorno d’oggi terminano nello stordimento collettivo. A mezzanotte termine della mattana inizia il mercoledì delle ceneri.

Il Carnevale Romano nei secoli

La ricorrenza del Carnevale non ha in calendario una data prestabilita e ogni anno dipende da quando cade la Pasqua. Inizia infatti la prima domenica delle nove precedenti la Pasqua. Raggiunge il culmine dei festeggiamenti il “giovedì grasso”, terminando il martedì successivo, detto “martedì grasso”, che precede il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima cristiana, quindi sostanzialmente 8 giorni.

L’etimologia della parola Carnevale, deriverebbe dal latino “carnem levare” ovvero privarsi della carne. Ciò accadeva infatti e ancora oggi accade per i cristiani, in quanto il “martedì grasso” è considerato giorno di bagordi e abbondanza di cibo prima del “mercoledì delle ceneri” e i digiuni della Quaresima.

L’introduzione delle feste del Carnevale a Roma, di cui si ha notizia storica, è il 1143, denominate “ludus carnevalari” con il Papa (forse Celestino II, ma più verosimilmente i successivi, data la breve durata del suo pontificato) che cavalcava fino a Testaccio – Monte dei Cocci accompagnato dal Prefetto della città e da Cavalieri in uniforme per una cerimonia propiziatoria. L’evento era accompagnato da giochi dell’epoca giostre, tauromachie, palii, duelli. Il popolo romano si accalcava sul Monte dei Cocci, ritenuto luogo sacro dove si poteva consumare la carne degli animali periti nelle lotte con i cavalieri.

Dalla metà del 1400, per volontà del Papa Paolo II, nato Pietro Barbo veneziano, (a Venezia c’era già il Carnevale in maschera) che i festeggiamenti si trasferirono in via Lata, l’odierna via del Corso, a cui fu data una connotazione di godimento più autenticamente popolare e meno di cerimonia religiosa.

L’intento dei ludi medievali e rinascimentali, era quello di richiamare l’antica festa romana dei Saturnali, mai abolita dal Cristianesimo, e molto apprezzata dal popolo romano, slittandola solo di qualche settimana rispetto alle festività di Roma antica, che avvenivano in onore del dio Saturno negli otto giorni tra il 23 e il 30 dicembre, periodo in epoca cristiana già dedicato alla rievocazione della natività di Cristo.

I Saturnali corrispondevano alle giornate più corte dell’anno, con notti lunghissime, e pertanto si configuravano come festeggiamenti in attesa dell’avvento del solstizio e della rinascita del sole che allungava il suo cammino nel cielo, il Solis Invicti dies natalis.

Ma Saturno era anche il dio primordiale delle semine e dei raccolti, quello che rappresentava la mitica età dell’oro in cui sarebbe vissuta l’umanità in un’epoca remota auspicando il ritorno a quella favolosa epoca gaudente e spensierata. E Saturno che custodiva il tesoro di Roma, dio della terra e della semina, con le feste si voleva propiziare la fine del freddo inverno e auspicare una rinascita fertile della natura.

In occasione dei festeggiamenti erano leciti tutti gli eccessi sfrenati e feste di ogni genere, cibo, divertimenti, lussuria, giochi, una sorta di follia collettiva liberatoria come sintetizzato nel proverbio latino, “semel in anno licet insanire”, ovvero, una volta l’anno è lecito impazzire, niente guerre, né processi, né lavoro.

Inoltre mascherarsi rendeva tutti uguali i ricchi e i poveri, e scomparivano così le differenze sociali. Ognuno abbandonava la propria maschera nella vita per vestirne un’altra, senza freni né inibizioni nel giorno dei folli, durante il quale gli schiavi prendevano il posto dei padroni, rappresentando un mondo alla rovescia il cui scopo era quello di bere e fare baldoria.

I Saturnali, pur essendo una festa italica antichissima, avevano un corrispondente nell’antica Grecia alle feste dionisiache, che però si svolgevano nell’equinozio di primavera, denominate “antasterie”. Erano caratterizzate da cerimonie religiose e sfilate allegoriche di carri che alludevano all’armonia del cosmo voluto da Crono dopo il caos primordiale.

Ancor prima, a Babilonia si svolgeva una festività simile, sempre durante l’equinozio di primavera, in concomitanza con il nuovo anno. Nella grande processione babilonese sfilavano i carri allegorici del sole, della luna e dei segni zodiacali. Nella festa era consentita una libertà sfrenata, inconcepibile in altri momenti dell’anno, che per un giorno significava il capovolgimento dell’ordine costituito.

Le festività dei Saturnali sono sopravvissute nei secoli fino a noi pur modificandosi negli intenti e nelle finalità e rappresentano il Carnevale più antico e più vicino che ci è pervenuto.

Dalla Roma papalina all’Unità d’Italia la tradizione carnevalesca è un retaggio della cultura pagana e un lascito della civiltà romana, tanto da poterlo definire un rito pagano cristianizzato.

Le feste liberatorie rappresentavano un sentimento molto radicato nella popolazione, l’allegria del carnevale era contagiosa, mentre le autorità costituite laiche e religiose per un breve periodo volgevano lo sguardo da altre parti. I festeggiamenti in maschera, come quelli più noti di Venezia, le acclamazioni fittizie del “princeps” che si rifacevano ai Saturnali di “re” e “regine” nel Carnevale, scelti bizzarramente per un giorno tra gli straccioni, e gli emarginati. Una sorta di compensazione nella vita di ognuno.

E ancora i rituali dissacranti, quasi blasfemi, favorivano una sorta di liberazione dalle rigide catene del potere temporale dei Papi, le autorità accettavano, non potendo reprimere tanta sfrenatezza, anche se solo per poco tempo, in cui riaffioravano i Saturnali antichi che servivano come valvola di sfogo a un popolo represso da leggi dure, senza speranza di miglioramento della propria esistenza e spesso nella totale indigenza.

La città di Roma è sempre stata legata al suo Carnevale memorabile, che terminò nel 1874, abolita da Vittorio Emanuele II a seguito di un episodio cruento. Durante la corsa dei cavalli un giovane improvvidamente attraversò la strada mentre sopraggiungeva un cavallo e morì proprio sotto gli occhi dei reali, che abolirono la manifestazione, e da allora non fu mai ripetuta.

Il Carnevale Romano come istituzione festiva è sopravvissuto ancora fino ai nostri tempi, negli stessi giorni del calendario che precedono il mercoledì delle ceneri, se pure relegato in feste private essenzialmente dedicate ai bambini, che si travestono con maschere e antichi costumi, e unico eccesso consentito, si rimpinzano dei dolci tipici del carnevale.